Il Signore mi ha fatto percorrere questi quarant'anni per sapere quello che avevo nel cuore
Rho, 9 giugno 2024
8,2Ricòrdati di tutto il cammino che il Signore, tuo Dio, ti ha fatto percorrere in questi quarant'anni nel deserto, per umiliarti e metterti alla prova, per sapere quello che avevi nel cuore, se tu avresti osservato o no i suoi comandi. 3Egli dunque ti ha umiliato, ti ha fatto provare la fame, poi ti ha nutrito di manna, che tu non conoscevi e che i tuoi padri non avevano mai conosciuto, per farti capire che l'uomo non vive soltanto di pane, ma che l'uomo vive di quanto esce dalla bocca del Signore. 4Il tuo mantello non ti si è logorato addosso e il tuo piede non si è gonfiato durante questi quarant'anni. 5Riconosci dunque in cuor tuo che, come un uomo corregge il figlio, così il Signore, tuo Dio, corregge te.
11Guàrdati bene dal dimenticare il Signore, tuo Dio, così da non osservare i suoi comandi, le sue norme e le sue leggi che oggi io ti prescrivo. 12Quando avrai mangiato e ti sarai saziato, quando avrai costruito belle case e vi avrai abitato, 13quando avrai visto il tuo bestiame grosso e minuto moltiplicarsi, accrescersi il tuo argento e il tuo oro e abbondare ogni tua cosa, 14il tuo cuore non si inorgoglisca in modo da dimenticare il Signore, tuo Dio, che ti ha fatto uscire dalla terra d'Egitto, dalla condizione servile; 15che ti ha condotto per questo deserto grande e spaventoso, luogo di serpenti velenosi e di scorpioni, terra assetata, senz'acqua; che ha fatto sgorgare per te l'acqua dalla roccia durissima; 16che nel deserto ti ha nutrito di manna sconosciuta ai tuoi padri, per umiliarti e per provarti, per farti felice nel tuo avvenire. (Deuteronomio cap. 8,2-5.11-16)
Carissimi parrocchiani,
nei mesi scorsi l'anniversario del quarantesimo di Ordinazione non mi sembrava una ricorrenza così significativa perché ritenevo che fossero i cinquant'anni la pietra miliare per il ministero presbiterale, ma quando questi versetti del libro del Deuteronomio mi sono tornati alla mente allora mi sono reso conto di quanto quel numero simbolico avesse la forza per rileggere una vita, accompagnata dal Signore, al servizio degli altri nella Chiesa.
Impossibile raccontarli tutti, anche se a me sembrano di una semplicità assoluta, ma una cosa mi sembra emergere come linea unitaria delle diverse circostanze attraversate: sono stati quarant'anni di relazioni con persone. Nel testo del Deuteronomio la terra promessa giunge al termine del cammino ma devo dire che per me la terra promessa sono già stati gli incontri con moltissime persone che ho avuto la grazia di guardare negli occhi e nel cuore: nei primi 25 anni [vedi la lettera scritta a Monza], negli anni in mezzo ai giovani dei Collegi, in questi ultimi meravigliosi anni con voi rhodensi, con tante persone ferite oppure nella gioia, altre volte nella ricerca di un cammino illuminato dall'alto e con gli amatissimi scout che riescono sempre a entrarmi nel cuore come figli.
Infinite volte mi sono sentito come Mosè chiamato da Dio di fronte al roveto ardente, con il bisogno di togliermi i sandali perché mi stavo avventurando in una terra santa abitata da Dio: quel luogo sacro era la vicenda umana di chi mi stava di fronte, verso la quale ero chiamato ad offrire uno sguardo capace di mostrare che cosa ci fosse oltre la vicenda stessa, cercando di riconoscere “i campi che già biondeggiano per la mietitura” (Gv 4,35).
Mi rendo conto che in tutti questi anni sono cresciute per me le responsabilità e forse anche l'autorevolezza, con il rischio sempre presente di imborghesirmi perché ormai avevo iniziato ad abitare belle case, vedere bestiame grosso e minuto moltiplicarsi, accrescersi l’argento e l’oro e abbondare ogni cosa (ovviamente in senso spirituale), come indica il testo biblico, ma miracolosamente oso dire di non aver dimenticato il Signore che mi ha condotto nel deserto dei quarant'anni “per sapere quello che avevo nel cuore” (Dt 8,2).
Vi svelo un piccolo segreto del mio ingresso in Seminario: il rettore di allora, il futuro Card. Corti, si aspettava che l'entusiasmo che mi stava accompagnando sarebbe diminuito e mi voleva preparare a quel momento. Devo dire che, nonostante la mia grandissima stima per lui, si è sbagliato perché non si è mai verificato ed oggi non trovo le parole per esprimere questo miracolo già narrato dalla Scrittura, “il tuo mantello non ti si è logorato addosso e il tuo piede non si è gonfiato durante questi quarant'anni” (Dt 8,4), perché ciò che il Signore mi ha messo nel cuore a vent'anni non si è logorato assolutamente, anzi si accompagna ora alla maggiore saggezza dettata dall'età, con una gioia nel parlare di Dio che voglio continuare a donare a tutti, per quanto riesco.
Certamente diverse giornate di questi quarant'anni le avrei evitate volentieri perché non tutto è stato semplice e indolore, ma nemmeno per un istante ho perso la gioia profonda per questa mia vocazione.
Non mi sento di dire, con il testo biblico, che il Signore mi abbia umiliato per correggermi, perché sono consapevole di quanto abbia ricevuto dalla vita e soprattutto dalla mia famiglia: non posso qui allargare la riflessione a nonni, zii (tra cui “la” zia) e cugini per motivi di spazio, ma penso ai miei genitori e soprattutto a mia mamma, grandissima nonna e “perpetua” per molti anni (anche se non ho mai avuto il coraggio di dirle che nessuno usa più questo termine), divenuta un po’ nonna e mamma di tante persone incontrate nelle mie diverse destinazioni pastorali. Penso ai miei fratelli e nipoti con i quali ho un rapporto invidiabile, legame impagabile che mi permette di avere un cuore in pace. Per questo e per molti altri doni ricevuti posso dire che il Signore è stato generoso con me per farmi capire “che l'uomo non vive soltanto di pane ma che l'uomo vive di quanto esce dalla bocca del Signore” (Dt 8,3), riconoscendo che mi ha sempre tenuto per mano senza nascondermi il suo Volto.
Ringrazio tutti voi che sopportate le mie incertezze e i miei ritardi, insieme a quei difetti e sbagli che vedete e perdonate quotidianamente. Siete tutti preziosi perché soltanto insieme ci possiamo aiutare a guardare quei “campi che già [oggi] biondeggiano per la mietitura”, secondo la promessa di Gesù.
E continuerà a fiorire la speranza.
don Gianluigi
[Lettera per il 25° - Monza, 9 giugno 2009]
Carissimi parrocchiani,
nel giorno del 25° della mia Ordinazione Sacerdotale molti sono i pensieri, i ricordi e le persone che si affacciano alla mente ed al cuore. Mi torna in mente la mia giovinezza, gli amici, le esperienze fatte con gli scout, lo sport, le persone importanti per la mia crescita ed alcuni preti. Tutto si fonde in un grande ringraziamento a Dio (e a queste persone) perché mi ha condotto per mano.
Credo che per un prete che vive in mezzo alla gente le persone stesse della sua Comunità saprebbero molto bene raccontare pregi e difetti, perché li notano molto meglio dell’interessato. Perciò vorrei, in queste righe, provare a descrivere cosa c’è dietro e prima del volto che i fedeli vedono ogni domenica alla S.Messa.
Spesso mi sono soffermato a pensare che lo spessore umano di un prete sia la caratteristica decisiva del suo ministero, per questo ritengo che l’opera educativa e soprattutto l’esempio dei genitori sia un tesoro prezioso per tutta la Chiesa e per la società, che incontrerà quel giovane divenuto adulto ritrovando in lui l’umanità imparata sulle ginocchia della mamma, del papà e dei nonni.
Tutto ciò però non rende ancora un giovane candidato al sacerdozio. Ci vuole qualcosa dall’alto: verso la fine degli anni di liceo anche io, come tanti coetanei, provavo ad interrogarmi sul futuro in particolare domandandomi quale fosse la strada che il Signore desiderava per me. Devo riconoscere che il pensiero di dedicare la vita a qualcosa che non fosse solo per me stesso era già forte, cresciuto negli anni di scoutismo e in famiglia, ma ancora non sapevo dove spendere i miei talenti.
Il momento decisivo è arrivato quando ho capito che qualsiasi cosa avessi fatto sarebbe stato un aiuto ancora imperfetto per chiunque, perché anche le cose più preziose sono destinate a passare: perfino fare il medico, essere a contatto con la vita e con la morte avrebbe aiutato solo temporaneamente la persona, perché la malattia o l’età avrebbero preso il sopravvento ed io capivo di voler fare qualcosa che fosse un aiuto più profondo per la persona.
Allora ho intuito che il Signore mi chiamava per aiutare le persone ad incontrare Lui.
Solo questo dono non sarebbe stato tolto dal cuore delle persone, solo questo Incontro non sarebbe invecchiato o passato in secondo piano nella vita della gente, perché il Signore sarebbe stata la risposta alle domande più profonde, quelle sulla vita e sulla morte, e conoscerLo sarebbe stato il dono definitivo per chiunque. Il mio sorriso è nato quel giorno.
Riconosco sinceramente che il Signore mi ha fatto un regalo inaspettato ed inaudito, perché il pensiero di questa chiamata mi ha riempito subito di gioia profonda e di desiderio, ma nello stesso tempo voglio ringraziarLo perché mi ha inviato persone, esperienze e tempi adatti per far crescere questo germoglio (penso al Seminario e ai preti che ho conosciuto, penso al Card.Martini, penso ai compagni di Seminario, penso ai miei genitori e fratelli, agli amici di sempre …).
In vista del giorno dell’Ordinazione la frase scelta da me per l’immaginetta-ricordo è stata “Levate i vostri occhi e guardate i campi che già biondeggiano per la mietitura” (Gv 4, 35), avevo intuito infatti che la via per il mio sacerdozio sarebbe stata quella di indicare i segni del Regno già presenti in mezzo a noi e che il Signore chiede di riconoscere.
Ho iniziato il mio servizio di prete in mezzo ai ragazzi ed ai giovani e sempre più mi è diventato chiaro che dovevo parlare loro di Dio (pur tenendo vive 1000 iniziative oratoriane piene di futuro e di entusiasmo), ma intanto un’altra frase biblica si era fatta strada in me ed era diventata la declinazione naturale di ciò che era maturato negli anni: “Lo Spirito e la sposa dicono: “Vieni!”. E chi ascolta ripeta “Vieni!”. … Colui che attesta queste cose dice: “Si, verrò presto!”. Amen. Vieni, Signore Gesù” (Apc 22, 17.20).
Ecco perciò che il mio Ministero non era più soltanto orientato a conoscere il Signore, ma ad attenderLo e desiderarne il Regno, perché l’alba di Pasqua ormai da 2000 anni è diventata il centro della storia e ciascun uomo (consapevole o no) guarda a quel Sepolcro vuoto e trova lì vita e speranza per superare le tenebre della notte che tanto spesso scopriamo nell’esistenza. Siamo infatti tutti umanità pellegrina in cammino verso la Patria e questo desiderio deve essere ciò che attira il nostro sguardo, il nostro cuore ed i nostri pensieri, come negli splendidi versetti della Lettera agli Ebrei: “Per fede Abramo, chiamato da Dio, obbedì partendo per un luogo che doveva ricevere in eredità, e partì senza sapere dove andava. … Egli aspettava infatti la città dalle salde fondamenta, il cui architetto e costruttore è Dio stesso. … Nella fede morirono tutti costoro, pur non avendo conseguito i beni promessi, ma avendoli solo veduti e salutati di lontano, dichiarando di essere stranieri e pellegrini sopra la terra. Chi dice così, infatti, dimostra di essere alla ricerca di una patria” (Ebr 11, 8.10.13-14).
Alla luce di queste intuizioni ho vissuto gli anni in mezzo ai giovani, anni entusiasmanti e ricchi di vera paternità, ma soprattutto anni in cui abbiamo parlato di Dio e durante i quali ho visto meraviglie nel cuore di tanti di loro.
Con questo bagaglio sono partito per Monza, sentendomi un po’ come Abramo: partivo senza sapere dove andavo ma ricco del Vangelo e del desiderio di stare con i miei nuovi parrocchiani e con i preti e le Sorelle che il Signore mi metteva accanto.
La storia è recente e l’abbiamo condivisa insieme con grande stupore, ma devo dirvi che questi anni a Monza mi hanno aiutato a scoprire un’altra grande meraviglia: il Vangelo diventa evidente quando incontra la vita concreta e riesce ad ascoltarla. In questo incontro infatti il Vangelo svela tutta la propria ricchezza e ci parla di Dio in modo inaspettato, quasi ci consegna il Volto di Gesù, come se dicesse: ora hai scoperto il sentiero che porta a Me, sono le pagine del Vangelo ritrovate nella vita della gente. Tante volte, in occasioni liete o tristi (alcune tristissime), nelle celebrazioni domenicali o in Confessioni molto raccolte, in giorni di delusioni ed altri di entusiasmo mi sono detto: “stiamo vivendo il Vangelo”!
In questi anni è cresciuta una paternità più ampia e matura, che mi ha permesso di condividere alcuni vostri momenti di gioia e di sofferenza, momenti che ho accompagnato come ho potuto (e di questo vi chiedo scusa) ma soprattutto celebrati in una Comunità radunata intorno all’Eucaristia.
Ed è proprio la centralità dell’Eucaristia per la vita di una Comunità ciò che sto vivendo in questi anni: molte volte, celebrando la S. Messa domenicale ho percepito con lucidità che su quell’altare giungevano le vicende familiari e personali di tanti e da quell’altare veniva donata una grazia unificante e consolante per ciascuno. Essere strumento di questo incontro tra il Signore e le persone è per me un privilegio inestimabile, di cui non sono certamente degno.
Vi ringrazio per questa condivisione della vita, così come voglio ringraziare i miei ragazzi di tanti anni passati in Oratorio, a scuola e negli scout; ed ancora voglio ringraziare i preti che mi hanno fatto crescere (penso ai miei due parroci di Gallarate e Desio, ma non solo) e tutti gli adulti che mi hanno aiutato.
Soprattutto però ringrazio il Signore perché mi ha tenuto per mano: in questa gratitudine sale ancora una volta dal cuore della Sposa la preghiera “Vieni, Signore Gesù” che attende e scopre tra le pieghe della storia la promessa: “Si, verrò presto!”.